Letture n° 21

Letture n° 21

Sorprende, in tempi di polarizzazione tra una maggioranza schierata a favore di una "scienza" salvifica e una minoranza, rumorosa, pronta a credere agli asini che volano, il rapido profilo di Giulio A. Maccacaro, scienziato e militante, tracciato da Domenico Ribatti per l'editore Carocci.

Sembrano, infatti, giungere da un'altra galassia gli echi di un impegno sull'apparente neutralità della scienza, in realtà parte intrinseca della cultura intellettuale delle forze che dominano la società e corpo integrato dell'apparato produttivo. Nato a Codogno l'8 gennaio 1924, laurea in Medicina e Chirurgia a Pavia nel '48, brillante carriera accademica tra Cambridge, Pavia, Milano e continue collaborazioni tra mondo anglosassone e italiano, una lenzuolata di pubblicazioni specialistiche, restò sempre fedele alla lezione di Marx: "Il Capitale non ha riguardi per la salute e la vita dell'operaio, quando non ne sia costretto a tali riguardi dalla società". I cinque grandi mali da sconfiggere: il bisogno, la malattia, l'ignoranza, la miseria e la disoccupazione. Dal 1974 all'anno della sua morte, il 1977, Maccacaro dirige - imponendo un carattere significativo -  la rivista di divulgazione scientifica "Sapere", edita da Dedalo. Suoi collaboratori, tra i tanti, Franco Basaglia, Luigi Cancrini, Giovanni Jervis, Marcello Cini, Dario Paccini, Paolo Manacorda: argomento comune, la denuncia della deriva delle scienze mediche verso un ruolo di subalternità al potere finanziario e industriale, teso a minimizzare i pericoli per la salute insiti nei modi ipertecnologici di produrre e consumare. All'inizio dei '70 aveva dato vita, in Feltrinelli, alla collana "Medicina e potere": 14 i titoli pubblicati in vita, una sorta di manifesto politico (Bert, Il medico immaginario e il malato per forza; Del Favero e Loiacono, Farmaci, salute e profitti in Italia; Gaglio, Essere o malessere. Le nevrosi viscerali; Arnao, Rapporto sulle droghe; Giovanni Berlinguer, Malaria urbana. Patologia della metropoli...). Non era, però, solo uomo da tavolino. Dalla fine degli anni Sessanta, con il Gruppo di Prevenzione e Igiene ambientale del Consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza partecipa a molteplici iniziative all'interno e all'esterno degli stabilimenti industriali. In quel contesto fonda l'Associazione Medicina Democratica. Movimento di lotta per la salute. Avvia una inchiesta sulle vittime del talidomide, il sedativo presente in un farmaco distribuito da una azienda tedesca e usato dalle donne contro la nausea da gravidanze: oltre diecimila casi di focomelia in Europa. Non manca l'intervento su uno dei principali disastri da inquinamento: la nube tossica a base di diossina sprigionatasi il 10 luglio 1976 da una fabbrica, l'ICMESA di Seveso, che ufficialmente produceva profumi e deodoranti nascondendo quella di diserbanti. Sul piano politico, il ritratto di Domenico Ribatti, non dimentica la controperizia, pubblicata da Giulio Maccacaro su "L'astrolabio" del 18 ottobre 1970, sull'autopsia di Giuseppe Pinelli che dimostrava l'impossibilità del suicidio. In seguito, gesto simbolico non meno importante, assunse la moglie di Pinelli come segretaria. L'uomo, infine, in una lettera di risposta alla convocazione inquisitoria del Presidente dell'Ordine dei medici: "Perché, se mi capisce, io non sono un Joseph K. e nemmeno un agrimensore: tra i fermacarte e i posaceneri della sua scrivania non potrò mai cercare né la mia colpa né la mia salvezza. Tutt'al più, l'impronta un po' sudata di una mano che mi si dice impaziente di tendersi col braccio in un saluto ormai, credevamo, desueto".